02/04/2021
ECONOMIA
di Alejandro Gastón Jantus Lordi de Sobremonte
L’emergenza sanitaria da COVID-19 ha prodotto un repentino mutamento della modalità di erogazione delle prestazioni lavorative, soprattutto nel Lazio, dove il fenomeno riguarda il 16,4% degli occupati.
Secondo quanto ha rilevato il «Rapporto sul mercato del lavoro 2020» di Istat, Ministero Lavoro, Inps, Inail e Anpa, i lavoratori in smart working in Italia sono saliti a 4 milioni nel secondo trimestre 2020. Nelle imprese che hanno attivato questa forma di lavoro a distanza la quota di lavoratori in smart working è salito al 47%, dal 5% dell’analogo periodo dell’anno che ha preceduto il COVID-19.
Snocciolando i dati a livello regionale e rapportandoli alle elaborazioni dell’Area Statistica Regione Lazio, scopriamo però che è soprattutto nel Lazio che l’emergenza sanitaria ha prodotto il più repentino e radicale mutamento della modalità di erogazione delle prestazioni lavorative, con un aumento del lavoro da remoto che ha portato a 391.304 gli «smart worker» laziali.
Insomma il fenomeno riguarda il 16,4% di una forza lavoro che in questa regione consta con 1.053.000 lavoratrici e 1.333.000 lavoratori.
Subito dopo l’esplosione della pandemia, il ricorso allo smart working ha interessato il 21,3% delle imprese con almeno 3 addetti. La percentuale è poi salita al 47% dei mesi di lockdown di marzo-aprile 2020, per assestarsi intorno al 30% a partire da maggio dell’anno scorso.
Lo smart working è stato certamente fondamentale durante la fase acuta della pandemia ed ha segnato un cambiamento culturale da cui bisogna trarre su cui le parti sociali pubbliche e private sono chiamate a riflettere.
Nelle fasi più acute del Coronavirus si è potuto registrare un picco di 6,59 milioni di «smart worker» di “emergenza” ripartiti tra grandi imprese (2,11 milioni), pubblica amministrazione (1,85 milioni), microimprese (1,5 milioni), piccole e medie imprese (1,13 milioni).
Insomma il lavoro da remoto, diffusissimo già prima del COVID-19 in moltissimi Paesi, è ormai entrato a far parte della quotidianità degli italiani e più in particolare degli abitanti del Lazio, dove la pubblica amministrazione ha un peso certamente maggiore rispetto ad altre regioni.
Dopo un’esperienza che è stata molto positiva, il 70% delle grandi imprese si dichiara disponibile ad aumentare le giornate di lavoro da remoto portandole in media da uno a 3 giorni a settimana.
Secondo quanto si possa stimare dopo il COVID-19 il numero degli «smart worker» aumenteranno ancora. Probabilmente si arriverà ad un numero che nel Lazio si attesterà sui 600 mila lavoratori entro il 2022.
L'emergenza COVID-19 ha in sostanza accelerato una trasformazione del modello di organizzazione del lavoro che in tempi normali avrebbe richiesto anni.
Tra gli aspetti più positivi di questa evoluzione vi sono da una parte il miglioramento delle competenze digitali dei dipendenti e dall’altro l’efficientamento dei processi aziendali o istituzionali.
Per non disperdere l'esperienza di questo periodo di lockdown —totale o parziale che sia— è ora necessario ripensare il lavoro e passare ad una ancora maggiore flessibilità ed autonomia nella scelta del luogo e dell’orario di lavoro, elementi fondamentali per spingere ad una maggiore responsabilizzazione sui risultati.
L’organizzazione del lavoro nelle aziende o negli uffici pubblici è cambiata ed ancora cambierà. Non si potrà non tener conto di quello che è successo in questi lunghi mesi di lockdown e di zone gialle, rosse ed arancioni.
E già, perché vi è stato un cambio epocale e l'efficienza non si potrà più misurare sulle ore passate in ufficio. Insomma nulla sarà più come prima.